Fondazione Carolina, la Onlus per il benessere dei minori in Rete, lancia una petizione contro la serie coreana trasmessa su Netflix e si appella all’AgCom e al Garante dell’Infanzia e dell’adolescenza
Una petizione per bloccare la visione di Squid Game. La proposta choc arriva da Fondazione Carolina, la Onlus dedicata a Carolina Picchio, prima vittima di cyberbullismo in Italia, che si occupa da anni del benessere dei minori sul web.
“Ci riteniamo una realtà propositiva, lo confermano le collaborazioni con i colossi del web nell’ottica della prevenzione e del supporto ai ragazzi e alle famiglie – spiega il Segretario generale, Ivano Zoppi – ma di fronte allo sgomento di mamme e maestre delle scuole materne non bastano i buoni propositi, serve un’azione concreta”. Quello di Fondazione Carolina non è un atto censorio, ma risponde alla necessità di far fronte alla sconfitta dei parental control e alla crisi della genitorialità. Una debacle messa nudo dai social e, soprattutto, dalle decine di segnalazioni che gli esperti per la sicurezza e il benessere digitale delle nuove generazioni hanno raccolto da tutta Italia. “Mio figlio ha picchiato la sua amichetta mentre giocava a Squid Game”. “A mia figlia hanno rovesciato lo zaino fuori dalla finestra dell’aula perché ha perso a Squid game, non vuole più uscire di casa. “I miei figli non sono stati invitati alla festa del loro compagno, perché non vogliono giocare a Squid Game”. Sono solo alcune delle testimonianze arrivate a Fondazione Carolina; un campione allarmante rispetto ad una serie che racconta violenza, alienazione e dipendenze con la semplicità dei giochi d’infanzia.
Non a caso la stessa Netflix suggerisce la visione della serie coreana per utenti sopra i 14 anni di età, eppure SQUID GAME, che sta battendo ogni record di visualizzazioni, impazza tra i giovanissimi. Il passaparola è inarrestabile, tanto che la serie diventa virale, anche tra i più piccoli.
“Da oggi, sulla piattaforma Change.org è possibile firmare la petizione per bloccare questo contenuto, micidiale per gli utenti più piccoli e i giovani più fragili”, denuncia Ivano Zoppi. “Come Fondazione Carolina ci siamo già attivati con l’AgCom, nell’ambito della nostra collaborazione con Corecom Lombardia, mentre abbiamo chiesto di incontrare il Garante Infanzia e Adolescenza per rappresentare il disagio vissuto da tante famiglie a fronte di questo fenomeno”. Un appello allargato anche alla Commissione Parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza. In qualità di educatore, Ivano Zoppi non entra nel merito del prodotto televisivo, ma giudica gli effetti preoccupanti di questa produzione sulle nuove generazioni. “Prima di capirne i motivi, però, è importante comprendere come mai, ancora una volta, quegli argini a tutela dei più piccoli, non hanno retto. Ancora una volta”, prosegue il referente di Fondazione Carolina. Tanto vale domandarsi se davvero ha ancora un senso indicare un limite di età alla visione di un contenuto. “A questo punto, l’unica soluzione possibile – sottolinea Zoppi – sembra la censura vecchio stampo. Qualcuno storcerà il naso, ma oramai sembra l’unico strumento possibile a difesa del principio di incolumità dei minori”. Un’azione forte, finalizzata a sensibilizzare genitori e istituzioni, più che a censurare una pellicola.
Ma questi contenuti, che mettono a rischio i nostri figli, possiamo davvero fermarli? “La risposta è no – precisa laconicamente Zoppi – Perché abbiamo delegato al web la socialità dei nostri figli, perché abbiamo smesso di essere il filtro tra l’infanzia e l’età consapevole, creando da una parte dei piccoli adulti, ma dall’altra degli eterni adolescenti, che si formano sui social e faticano a trovare la propria indipendenza”. Una grande colpa generazionale tradottasi nel tempo in un vuoto educativo, colmato dalla possibilità, anche per i bambini di accedere in totale autonomia a qualsiasi contenuto, anche se a loro vietato. Basta poter contare sulla noncuranza dei propri genitori. “Una risorsa che – sottolinea Zoppi, non senza ironia – abbiamo in abbondanza”.
I grandi assenti sono proprio i genitori. Non solo in termini di presenza, ma anche in funzione di quel controllo e di quell’attenzione che hanno rinunciato ad esercitare. Ecco dunque che il percorso di crescita dei cittadini di domani rischia di essere affidato all’autarchia inanimata dei social, dove un algoritmo decide cosa un bambino, un teenager, una ragazza può guardare, emulare, comprare, pensare. Ancora prima di aver sviluppato un senso critico, una personalità, un giudizio.
Alcuni genitori, minoranza silenziosa, hanno impostato correttamente i parental control; sulle piattaforme streaming, sui device usati in famiglia e addirittura sul modem casalingo, eppure le informazioni viaggiano in rete con una facilità sconcertante. Così, anche se non hai l’abbonamento a Netflix, il fenomeno Squid game pervade il quotidiano dei bambini attraverso i “per te” di TikTok; ovvero i contenuti consigliati dal social network più popolare tra i giovanissimi. Un accerchiamento che passa per tutte le principali media company, da Facebook a Youtube, da Twitch a Instagram, passando per WhatsApp e Telegram.
“App e social che gli under 14, per legge, non dovrebbero frequentare! Ed ecco che alle scuole materne i bambini giocano a 1,2,3 stella nella versione degli Squid Game”, denunciano da Fondazione Carolina. Questo, almeno, raccontano diverse mamme, preoccupate da una bomba sociale paragonabile solo ai Pokemon, ma molto più pericolosa. Bambini e bambine che, rimproverati a scuola o in famiglia, non riescono a smettere perché temono di essere esclusi.
“Tutto ciò – conclude Ivano Zoppi – insegna che il rispetto delle regole non ha senso se queste non sono applicate su un piano culturale condiviso, sull’insieme di valori e princìpi alla base di una comunità, che non ha più radici, se non qualche hashtag”.