di Ivano Zoppi
Segretario generale
Fondazione Carolina
In queste settimane diversi periodici si sono occupati di una tematica che interessa pressoché la totalità dei lettori. Parliamo del rapporto delle famiglie con lo strumento digitale, in particolare della relazione genitori-figli che passa sempre di più dallo smartphone. Una concentrazione di articoli ed interventi sul tema digitale che, dalla sicurezza sul web, si sposta sulle competenze e le responsabilità. Approfondimenti favoriti dalla cronaca, con la notizia della circolare sul divieto di utilizzo dei cellulari all’interno degli istituti scolastici.
L’impatto della società digitale sulle nuove generazioni
Una “non” notizia, in realtà, dato che la comunicazione diffusa dal neo ministro dell’Istruzione Valditara ricalca quella del 2007, a firma Fioroni. La novità, semmai, è il contesto nel quale si muove l’iniziativa ministeriale, che certamente punta a preservare il ruolo e la funzione dell’insegnamento, ma che si inserisce in un contesto nel quale gli episodi legati all’uso improprio dello strumento digitale non hanno condizionato solo le lezioni, ma spesso l’incolumità e la serenità di alunni e personale scolastico.
Un dibattito, quello sul divieto del cellulare, che parte dalla scuola e tocca la sfera privata. Esiste un’età ideale per concedere i device agli ultraminorenni? Quanti anni bisogna avere per poter aprire un profilo sui social network? La risposta perfetta non esiste, o meglio, esistono dei riferimenti normativi, oltre alle policy delle stesse media company. Parametri, tra l’altro, sistematicamente ignorati, mentre la logica dovrebbe essere quella del buonsenso. Continuare a ragionare sui divieti non aiuta a comprendere la dimensione dell’impatto della società digitale sulle nuove generazioni, nonché sul futuro dell’intera collettività, che non può e non potrà mai essere assimilata o, peggio, sostituita dai linguaggi delle community.
Vuoto educativo: il mondo adulto sta abdicando
Quel mondo adulto che dovrebbe condurre, accompagnare e rappresentare un esempio per i cittadini di domani sta abdicando a favore dei motori di ricerca, dei gruppi Telegram e degli influencer. Un vuoto educativo che rischiamo di pagare a caro prezzo, pur di non rinunciare a noi stessi e alle nostre esigenze, che anteponiamo alla fatica di educare. Documentare le nostre vite, come in un gigantesco Truman show, è una naturale conseguenza.
“Perché lo stesso non dovrebbe valere per i nostri figli? E se non fossero d’accordo? Se una volta cresciuti non si riconoscessero nell’identità digitale che abbiamo costruito per loro e che non potranno mai cancellare?”. Un dubbio prezioso, ma che lancia subito il posto a giustificazioni che assumono i contorni dell’autoassoluzione. Lo dicono gli stessi genitori, a maggior ragione con velleità da influencer.
Cambiare punto di vista per non compromettere la salute dei nostri figli
E se qualche follower li interpella sull’opportunità di esporre in Rete così tante immagini dei figli, la risposta è tanto lapidaria quanto sconfortante. “Ma se la mia vita in questo momento è per l’80% prendermi cura di lei, come se ne esce?”. Un atteggiamento che, al di là dei facili giudizi, dovrebbe suggerirci di tornare a guardare il mondo dal basso verso l’alto. Un piccolo grande esercizio di umiltà che, se non altro, ci restituisce la prospettiva di quando bambini eravamo noi. Cambiare punto di vista ci farebbe capire quanto la tutela dei minori sul web non è mai stata un problema tecnologico; piuttosto una questione educativa che, se non affrontata a dovere, può compromettere la salute dei nostri figli.