Senso di appartenenza, ribellione, o più semplicemente autolesionismo. L’ultima moda che imperversa sui social si chiama “Cicatrice francese” e, a dispetto del nome, non si tratta di nulla di raffinato. La challenge che in queste settimane sta spaventando genitori e docenti si distingue dal resto delle prove estreme che si trovano in Rete e che viaggiano sulle chat.
La nuova challenge della “cicatrice francese”
Si tratta di simulare gli effetti di una colluttazione tramite pressioni, sfregamenti e graffi sotto un occhio, nella parte più alta della guancia. Una volta che il volto si presenta con una striscia o comunque un segno rosso o violaceo ben distinguibile, i ragazzi e le ragazze che aderiscono a questa prova si sentono parte di un gruppo, forti di un’esperienza che li accomuna. Una sorta di protesta che li vede “lottatori inascoltati” in una società che non sentono propria e in un quotidiano che non li rappresenta. Motivazioni profonde che hanno spinto alcuni adolescenti a fare proseliti sui social e sulle piattaforme più diffuse tra i giovanissimi, invitandoli a partecipare a questa challenge per diffondere il messaggio della “cicatrice”. Da qui nasce la viralità di questa pratica, raccontata dai giornali e al centro di un recente appello della Polizia postale.
“Quella psicosi, sospinta dalla rilevanza mediatica, rappresenta un potente diversivo rispetto ad altri fenomeni che, negli anni a venire, avrebbero comportano dei rischi ancora più concreti per le nuove generazioni”, continua Ivano Zoppi. Parliamo delle challenge estreme, dall’auto soffocamento ai selfie estremi in cima ai palazzi o sul ciglio dei burroni. “Stiamo ricevendo molte domande da parte di genitori e docenti – commenta il referente di Fondazione Carolina – preoccupati dalle notizie che si rincorrono sugli organi d’informazione, ma al di là di qualche caso, comunque da non sottovalutare, il fenomeno è molto circoscritto”.
La cicatrice francese racconta una ricerca d’identità e di emozioni artificiali
La “cicatrice francese”, piuttosto, racconta una ricerca di identità e una volontà di autoaffermazione che i più giovani non riescono a declinare sul piano delle relazioni autentiche. L’ho visto sui social e l’ho fatto perché è figo e ci stava provarlo… Tanto mica moriamo, alla fine ognuno è libero di fare quello che vuole. “Questa è una delle testimonianze che abbiamo raccolte da ragazzi, poco più che 12enni, alla ricerca di emozioni artificiali e, pertanto, pronti ad emulare i comportamenti più disparati”, aggiunge Ivano Zoppi, auspicando un maggior senso di responsabilità da parte degli organi d’informazione. “In generale il mondo adulto fa i propri interessi, senza curarsi delle conseguenze che gravano sui minori, in balia di un deserto emotivo – conclude il Segretario generale di Fondazione Carolina – alimentato dalla nostra pigrizia e noncuranza. Andiamoli a prendere e accompagniamoli alla scoperta del mondo, online come offline, senza deleghe o scorciatoie”.
Da qui l’importanza di aggiornarsi rispetto ai nuovi pericoli online, soprattutto nell’ottica preventiva di saper intercettare per tempo i segnali del disagio.