Aggressioni, rapine, lesioni e minacce. Non siamo a “Gomorra”, nemmeno nelle periferie più complesse delle grandi metropoli. I preadolescenti possono diventare criminali? Il male e il degrado sono sempre figli del disagio?
Siamo nella sobria e ricca provincia italiana, nel produttivo Nord Est, più precisamente nella civilissima Verona. Non parliamo di delinquenza comune, né vogliamo lanciare un allarme immotivato rispetto alla sicurezza di un territorio tradizionalmente ben amministrato. Certo è che in città, in pieno centro storico, il fenomeno delle baby gang condiziona, e non poco, la serenità di cittadini e turisti.
Non si tratta di faide sudamericane, di regolamenti di conti o di traffici illeciti. Non c’entrano droga o armi. Parliamo di ragazze, tra i 15 e i 17 anni. Tutte italiane, di buona famiglia e apparentemente senza alcun problema specifico. Ragazze, poco più che adolescenti, con spiccati atteggiamenti criminali che scatenano risse, organizzano vere e proprie spedizioni punitive. Due tra le presunte leader del gruppo sono figlie di avvocati e imprenditori. Cosa cercano? Perché agiscono con questa violenza? Le famiglie che dicono?
Gli effetti degli ultimi due anni, uniti alla crisi di valori e al crollo delle certezze che la guerra ci ricorda ogni giorno in Tv e sui social, sono sotto gli occhi di tutti. Per questi ragazzi la noia non è la rampa di lancio della fantasia, dei sogni e dell’immaginazione. Il congelamento, prima, e la crisi, poi, delle relazioni autentiche, sostituite dalle interazioni sul social, condiziona una piena percezione dei sentimenti e dei significati di quanto viaggia in Rete. Un post, un reel, una storia non bastano a riempire un vuoto. Più facile diventare qualcun altro, lontano dalle aspettative dei genitori e degli insegnanti. Indossare una maschera, però, a volte può essere pericoloso, soprattutto se non si hanno la struttura e l’identità che consentano di uscire dal personaggio in cui ci si è rifugiati.
Tutto muove contro queste ragazze, oggi affidate a strutture di accoglienza e sottoposte al giudizio del Tribunale dei minori. Quelle stesse immagini che si rincorrono sui social, eccessive, sguaiate e violente, hanno consentito agli inquirenti di accettare i fatti e le responsabilità. Impossibile negare l’evidenza. Tranne che per alcuni genitori della Verona bene, in cerca di giustificazioni per scagionare le figlie da accuse che non possono appartenere al loro status. Quando, magari, basterebbe guardare lo stato di whatsapp per capire che qualcosa non va.
Ivano Zoppi
Segretario Generale
Fondazione Carolina